Criteri per la Valorizzazione

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I CRITERI PER LA VALORIZZAZIONE

Quali criteri

I criteri vengono stabiliti dal rinnovato Comitato di Valutazione mentre l’assegnazione della somma, sulla base di una motivata valutazione, spetta al Dirigente scolastico. “È indubbio – dice una faq del MIUR – che la maggior o minor definizione dei criteri implicherà la minor o maggior discrezionalità del Dirigente scolastico, ma queste decisioni sono lasciate all’autonomia gestionale delle istituzioni scolastiche”.

La risposta è sensata, ma non risolve i problemi su cui le scuole vorrebbero un aiuto. Ci sono molti concetti complessi: cosa significa criterio; fino a che punto di dettaglio possono essere definiti; cosa significa “motivata valutazione”; che rapporto c’è tra autonomia gestionale e discrezionalità del dirigente. È riflettendo su questi temi che cercheremo di capire come può funzionare un comitato di valutazione.

La legge, dunque, attribuisce molte responsabilità al dirigente scolastico. Egli può attenersi a criteri “laschi” e un po’ generici, oppure a criteri ben definiti, trasparenti, non ambigui, soprattutto condivisi con la comunità professionale.

Criteri laschi o logica del dettaglio?

La parola “criteri” non appartiene al linguaggio specifico di una scienza, non ha una univocità di lessico ed un rigore d’uso. Non avendo raggiunto un alto grado di convenzionalità, neanche tra gli addetti ai lavori, ognuno può assegnarli significati differenti.
La parola “criteri” rinvia a scelte di fondo, ad ambiti da privilegiare, ad indicatori da definire, a descrittori da costruire, che diano conto di cosa si deve effettivamente valorizzare. È un processo decisionale molto importante da cui dipende la stessa identità della scuola: un processo che richiede operazioni articolate e difficili.

Quando alcune parole “semanticamente ambigue” devono essere concretizzate in “comportamenti professionali” si rischia o di rimanere nell’ambiguità (arbitrio totale di chi decide) o di essere sovrastati e travolti dal dettaglio. E il dettaglio, come è noto, può far perdere di vista l’insieme e, a volte, lo scopo stesso.

In altre parole se non partiamo da alcuni presupposti condivisi, e se non li teniamo sempre fermi, rischiamo di perderci in un mare di dati neutri, difficili da leggere, che si possono prestare a strumentalizzazioni. Troppi dati diventano inutili o dannosi.

Per questo è importante ricordare che la selezione degli indicatori sulla valorizzazione della professionalità deve mirare a scelte “sensate”, “eque” e leggibili; soprattutto deve essere utile a far crescere la comunità professionale.

Rammentiamo anche che un compito del dirigente scolastico è anche quello di “assicurare la gestione unitaria della scuola e che, per questo, deve saper promuovere “la partecipazione e la collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica

 

DEFINIZIONE DEI CRITERI

Cosa dice la 107/2015

Il legislatore ha rinunciato ad impartire ex lege precisi indicazioni per l’assegnazione del bonus, ma ha sollecitato le scuole autonome a cimentarsi nella costruzione di criteri per la valorizzazione dei docenti. Per questa operazione ha messo a disposizione tre anni. È un tempo congruo se si avviano subito i processi di ricerca. Ma, come è noto, la legge indica un percorso, non lo impone, né obbliga ad adottare precisi comportamenti. Per questi ragioni si potrebbe verificare che le scuole non utilizzino tale opportunità e, alla fine del triennio, le linee guida saranno predisposte dall’alto, da un comitato tecnico scientifico, senza la partecipazione della comunità professionale.
La questione del merito, anche se per il nostro sistema scolastico rappresenta ancora un tabù, dovrà essere affrontata con molta serietà e senza improvvisazioni: tutti dovrebbero prendere in considerazioni gli spazi aperti dal comma 130 della legge 107/2015 che prevede un triennio di riflessione utile per un procedimento dal basso tale da trasformare le indicazioni della legge in criteri e ricavare dai criteri standard di qualità .

Le aree di professionalità

Le scuole possono avviare un percorso di ricerca-azione in rete con l’obiettivo di far corrispondere alle indicazioni normative azioni e comportamenti precisi in modo che siano leggibili da tutta la comunità professionale. C’è comunque un problema iniziale da affrontare prima di avviare qualsiasi lavoro di ricerca, è quello di condividere le aree di professionalità.
Un primo elemento da disambiguare risiede della stessa legge. L’elencazione, infatti, dei punti a, b e c del comma 129 è indicativa di azioni professionali, ma non identifica settori specifici della professionalità. È oggi abbastanza riconosciuto, anche a livello europeo, che tre sono le aree della professionalità docente:

  1. Area dell’organizzazione – Prendersi cura della gestione della scuola. Significa partecipare all’organizzazione e alla gestione, dare contributi nel lavoro di équipe; impegnarsi nel rapporto con le famiglie e gli stakeholder.
  2. L’area della formazionePrendersi cura della propria ed altrui professionalità. Come dire: curare la propria formazione continua; mettersi a disposizione per migliorare i percorsi formativi a scuola; fare uso di nuove tecnologie.
  3. Area della didatticaPrendersi cura degli allievi e dell’insegnamento. È tutto ciò che attiene all’organizzazione di situazioni e di ambienti di apprendimento: gestire e coinvolgere la classe nelle diverse situazioni; osservare e capire come gli studenti attivano i processi cognitivi; valutarli, secondo un approccio formativo; essere disponibili a mettersi in discussione
    In realtà tutte le indicazioni contenute nella legge si possono reincasellare nelle tre aree suddette che potrebbero rappresentare il punto di partenza della ricerca.
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Tabella 1

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Tabella 2

L’USO DELLE PAROLE: SIGNIFICATI DI CRITERI 

Diamo un nome alle cose

Spesso facciamo molta confusione nei termini che utilizziamo. In realtà abbiamo ragione ad essere confusi perché il nostro linguaggio non è scientifico e, anche in letteratura, è facile trovare le stesse parole che vanno ad indicare azioni differenti o parole diverse che fanno riferimento agli stessi comportamenti.
Una parola su cui dobbiamo riflettere insieme è “standard professionale”. Lo intendiamo come modello a cui uniformarsi in senso alto o come minimo accettabile? Bisogna partire dalla stessa idea altrimenti si rischia che gli esiti del percorso di ricerca di un gruppo non potranno essere ben compresi da un altro gruppo.
Possiamo, per aiutarci nel processo definitorio, ricorrere ai termini utilizzati per le “rubriche valutative”. Ma molto spesso troviamo (anche avvalendosi di autori qualificati) che tra “criteri”, “indicatori” e “descrittori” non sempre le differenze siano così chiare e nette.
In realtà tutti i termini si possono definire a livello teorico, ma è il contesto d’uso che ne specifica il significato reale. Facciamo alcuni esempi. Nella tabella che segue, applichiamo i termini di una rubrica valutativa alla ricerca per la valorizzazione dei docenti.

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Tabella 3 – Riflessione e condivisione sui termini

CONDIVIDERE SIGNIFICATI

Entrare nel merito e condividere i significati

Seppure ben ricollocati nelle tre aree della professionalità docente, i punti della legge restano ancora di difficile traducibilità in termini operativi. Se prendiamo in considerazione gli aspetti qualificanti dell’area della didattica, ci accorgiamo di quanto sia vasto il primo punto (“qualità dell’insegnamento”) e della necessità di essere riarticolato in una serie di indicatori meglio definiti.
Il secondo (“risultati ottenuti in seguito al potenziamento delle competenze degli alunni”) sembra di più facile lettura se pensiamo ai risultati Invalsi. In realtà è anch’esso assai complesso perché i risultati Invalsi riguardano solo due discipline e solo alcune classi. Si tratta poi di mettersi d’accordo sul significato che assegniamo a “risultato” (saperi o competenze?), capire come si traduce didatticamente “il potenziamento” e quali strumenti utilizzare per leggere il rapporto tra potenziamento e risultati. Il terzo (“successo formativo e scolastico”) comprende due concetti e per entrambi vanno individuati gli indicatori di riferimento. Se per il successo scolastico si può pensare ai risultati ottenuti a scuola dagli studenti, a breve e medio termine, per il successo formativo bisognerà conoscere invece i risultati a distanza, sia nel proseguo degli studi, sia nel lavoro.

Dai macro indicatori (dimensioni, categorie, settori, punti…) agli indicatori.

La “Qualità dell’insegnamento”, i “Risultati…”, il “Successo…” non sono ancora indicatori perché richiamano significati troppo ampi. Possiamo chiamarli “aspetti”, “dimensioni” “categorie” o semplicemente “macro indicatori”. La prima operazione da affrontare in una istituzione scolastica (gruppo di ricerca, di approfondimento…) è quello di articolarli in indicatori meno generici.

Tabella 4 - Dai Macro indicatori agli indicatori

Tabella 4 – Dai Macro indicatori agli indicatori

È una operazione delicata. Una buona partenza può influire positivamente sia sulle scelte in fatto di premialità sia sullo sviluppo della qualità del fare scuola. Un primo passo è quello di decidere in quanti e quali indicatori si può suddividere gli aspetti dell’area della didattica. Si suggeriscono due modalità
La prima modalità. Si può avviare il percorso di riflessione (all’interno di un gruppo cui è stato assegnato il compito di approfondire la questione) con un brain storming: ognuno esprime le proprie convinzioni in merito; le risposte vengono contestualmente trascritte (meglio se si utilizza una LIM); si ragiona su ognuna di esse (anche in merito alla possibilità di documentazione); si selezionano… e si raggruppano in indicatori

La seconda modalità. Si possono utilizzare elencazioni tematiche già messe alla prova. Se ne citano due: la prima è stata utilizzata dall’INDIRE-MIUR (anno di formazione), la seconda dall’INVALSI usata in occasione di una sperimentazione nell’ambito del progetto PON – Valutazione e miglioramento (ex uff. IV MIUR, Programmazione e gestione dei fondi strutturali europei e nazionali per lo sviluppo e la coesione sociale)

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